lunedì 7 novembre 2011

Silvio un eroe shakespeariano?


C’è qualcosa di già sentito nelle cronache di questi tempi in cui l’impero di Silvio si sgretola. Sono notizie già incontrate da qualche parte, probabilmente nelle cronache shakespeariane. Sono immagini che tornano alla mente per contrasto, per lo più. L’unica cosa che hanno in comune Macbeth, Antonio o Riccardo III con Berlusconi è la caduta rovinosa. Non condividono altro. Neanche l’ombra della grandezza, della nobiltà. Non c’è nulla di grande nel seguace Storace che vuole fucilare alla schiena i traditori. Non c’è nulla di grande in Berlusconi che vuole la fiducia per guardare in faccia i traditori (che non lo votano benché lui li abbia ricompensati adeguatamente). Antonio non lo avrebbe fatto. Lui faceva recapitare i tesori di Enobarbo al campo rivale, dopo il tradimento. Ed Enobarbo, ferito da una sorte avversa, si lasciava morire, colpito e affondato dalla statura di un uomo grande anche negli errori, di un Antonio che sembrava un gigante e le isole dei mari sembravano monete cadute dalle sue tasche.
Il Silvio non ha nulla in comune con i titani che rovinavano a terra, chiedevano cavalli e in cambio offrivano regni.
Antonio, per quanto antipatico (nessuno si deve permettere di dire “let Rome in Tiber melt”), per quanto lontano dal senso del dovere (in questo è come Silvio, che fa il premier a tempo perso), alla fine guadagna la simpatia dello spettatore perché la sua distrazione ha basi nobili. Si è innamorato: capita. E di Cleopatra, che non è certo la bisnonna di Mubarak né una sciacquetta qualsiasi come Ruby o Noemi.
Non riusciamo invece a sentire la stessa simpatia per Silvio, che non ama una regina ma un insieme composito di donne, che impastate tutte insieme non hanno la grandezza della regina d’Egitto.
A proposito, chi è il Domizio Enobarbo di Silvio? Confalonieri, forse. O Letta. O Bondi. O la somma di tutti loro. O una donna, visto il personaggio. Che so, la Carlucci. Piangerà per la generosità di Silvio, che non potrà più sperimentare? Cercherà l’estremo oblio in una buca del terreno, invocando “the poisonous damp of night”?
Nel suo castello, Silvio intanto osserva i movimenti delle truppe nemiche, come un Macbeth in trentaduesimo. Osserverà quali foreste si muovono in Parlamento, guarderà in faccia i “non nati da donna”. Questi ultimi avranno la faccia tosta di abbandonare il capo? Pensiamo di sì, anche questa dote abbonda ad Arcore, l’esempio del capo si può seguire.
Intanto l’ultima intercettazione assicura che “il testa di cazzo si dimetterà domani”. L’ultimo atto viene recitato con le frasi rubate, proprio nel modo in cui la farsa era iniziata.

Nessun commento:

Posta un commento