lunedì 17 dicembre 2012

Saudade

Mi sento triste.
Magari organizzando
un giro di prostituzione
internazionale...

giovedì 13 dicembre 2012

Eros e tanatoprassi

Ogni tanto è buona cosa andare a leggere Il Giornale.it. C'è sempre qualcosa da annotarsi, qualcosa che colpisce anche se non te ne accorgi subito. Ad esempio oggi mi ha incuriosito la parola del giorno.
Per chi non riesce a vincere l'avversione a cliccare su un link che punta verso l'innominabile, anticipo che la parola in questione è "tanatoprassi".
Saperla usare al momento buono fa fare bella figura in società. Apprendiamo dal quotidiano che "la parola serve talvolta a ironizzare su trucchi e ceroni, femminili e maschili, troppo pesanti o palesemente troppo correttivi".
Chissà se l'estensore della rubrica aveva in mente qualcuno in particolare. Se sì, chissà che cosa significa questa spericolata presa di posizione. Mah. 


sabato 30 giugno 2012

Emergenza caldo, allerta meteo Caronte


Lo sanno pure i portapenne: d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo. Si può dire, mica c’è la censura. Ma per legge dovrebbe essere possibile dirlo nei telegiornali solo una volta all’anno, preferibilmente all’inizio della stagione incriminata. Tipo: il quindici giugno tutti i tg possono aprire con la notizia della grande cappa di afa. Spareranno tranquillamente il titolone originalissimo "Emergenza caldo" e consiglieranno ai più riottosi di restarsene a casa nelle ore più calde: se andranno in giro con la testa scoperta, o senza aver mangiato frutta e verdura o aver assunto litri di liquidi, lo faranno a loro rischio e pericolo. Primo dicembre: ammazza che freddo fa. Diciamo pure che siamo in allerta meteo: questo titolo ci sta tutto. Non dormite sui balconi, copritevi e state al chiuso quanto più possibile. I liquidi fanno sempre bene, la frutta e la verdura pure. Quindi attrezzatevi per l’inverno e non rompete i coglioni. Poi, altri due argomenti a cui inviterei il pubblico a casa a pensare ardentemente quando ha bisogno di relax, solo pensare, perché nei tg non sarebbe il caso di vederli più:
a) negli zoo di tutto il mondo nascono centinaia di cuccioli di giraffa/cammello/tigre siberiana/panda/zebù/urogallo. E da piccoli sono estremamente capaci di suscitare tenerezza, soprattutto se la mamma, per una ragione qualsiasi (ad esempio se è: morta/scappata dallo zoo/ammalata di petecchie/rintronata dalla Bse) se ne fotte di loro e un inserviente dello zoo li deve nutrire col biberon.
b) le donne sono belle. Hanno un corpo armonioso, dovizioso di curve. Avete presente culi e tette? Ecco, cercatevele dal vivo, fatevi gli incontri ravvicinati del quarto tipo, perché vederle in un tg non fa bene al cuore. Le vorresti acchiappare, ma quando ti avvicini tocchi solo uno schermo sordo e grigio. L’effetto finale è che ti senti un Tantalo più stupido dell’originale. Quando un tg dà spazio al compleanno del tanga, chiediti a cosa sta togliendo spazio; perché, come sanno bene gli automobilisti che tamponano più spesso, il culo distrae. Chiediti anche chi vuole che tu ti distragga e da cosa.
E i casi di cronaca nera? Vanno raccontati in tre minuti al massimo, senza immagini truculente, anzi, senza immagini tout court. Via i nastri bianchi e rossi che circondano cadaveri ancora zampillanti. L’approfondimento potrà durare al massimo quaranta secondi. Il posto previsto nel palinsesto è la fascia che va dalle quattro alle quattro e zerocinque antimeridiane. Chi vuole sentirli, metta la sveglia e inzuppi pure il biscottino della prima colazione nelle tracce biologiche rinvenute col luminol.
Infine, per tutto il resto delle informazioni secondarie che passano in un tg, come la politica, la direttiva è questa: se non avete un buon equilibrio mentale, cari operatori del settore, ricordatevi almeno di avere una faccia. Ricordate a che cosa serve il vostro mestiere. Se non ci riuscite, ricordate che quando si esaspera, la gente tira le monetine. No, le banconote no.

venerdì 15 giugno 2012

Chi era costui?

Foto tratta da nomfum.wordpress.com 
Un sacco di tempo, ci ho messo un sacco di tempo a ricordarmi il nome. Avevo ben presente il sorriso largo, quasi sempre sfoderato a sproposito. Un accenno di riporto, forse, o comunque una pettinatura indecente. Però il nome non voleva tornare a galla. Mi era tornato in mente, questo tizio, per via di quell'episodio avvenuto all'inizio della decadenza. Di quando, cioè, aveva pagato un po' di poveracci perché stazionassero a Piazza San Silvestro sventolando striscioni inneggianti al suo nome. Già, proprio il nome che mi sfuggiva. Non è che mi dispiacesse: anzi pensavo che quel ricordo mancato fosse un sintomo evidente della disintossicazione in corso. Come avevo dimenticato quel nome, con un po' di tempo, avrei potuto dimenticare anche tutti gli altri. Dell'omino in questione ricordavo molti altri particolari: il disinvolto salto della quaglia verso Berlusconi, la corsa a perdifiato per arrivare in tempo al suo scranno alla Camera e votare per il nuovo padrone, le liti furiose in tv, inscenate senza motivi apparenti. Ah, i sosia mandati alle presentazioni dei libri al posto suo. Ah, faceva l'agopuntore. Ah, Scilipoti. Già, Scilipoti. Pazienza, me ne dimenticherò la prossima volta.

domenica 4 marzo 2012

Senza paura di morire


La prima canzone vera che ho sentito nella mia vita è “Ma come fanno i marinai”. La radio era arancione, mangiadischi incorporato, regalo della prima comunione. Stazioni soltanto in Am, con i relativi nomi sul frontalino. Nomi come Lilla, Monte Ceneri, Berom, Milano, Napoli. Sì, prima avevo sentito altre canzoni, ovvio. Quelle che passavano nei programmi del sabato sera degli anni Settanta. Era roba familiare, dimenticabile e dimenticata. Poi c’erano quelle che mi arrivavano dalla finestra quando giocavo nel cortile di nonna: “Ti prego amore aspettami (oh-oh-oh-oh)”, il moog del Guardiano del Faro, il falsetto dei Cugini di campagna e un incipiente Pupo.
La prima canzone vera che ho sentito nella mia vita è “Ma come fanno i marinai”. Ero solo, giocavo con le stazioni della radio, l’ho incrociata con la barretta rossa sulla “l” di Napoli e l’ho scelta. Non ricordo cosa ho pensato, ma ricordo che mi sono fermato a pensare a quelle voci poco impostate, un po’ sporche, a quelle parole poco consone al mondo che allora poteva entrare in una canzone.
Poco tempo dopo, girando in macchina con zio Benedetto, ho ascoltato “Al parco della luna”. A un ragazzino, se gli dici “guardando le stelle ho chiesto di capire come entrare nel mondo dei grandi senza paura di morire”, gli levi di bocca le parole che ancora non sa pronunciare.
E poi Futura, Anna e Marco, La sera dei miracoli, Meri Luis. Scoperte prima alla radio, poi registrate a fatica, poi ascoltate e imparate a memoria, insieme agli accordi. E poi i pomeriggi passati a cantare quelle canzoni insieme a Enzo e al gruppetto degli amici veri. E poi i giri in macchina, con l’autoradio estraibile che non smetteva mai di sfornare le canzoni di Lucio Dalla. Tutte. Enzo scovava quelle del periodo Roversi, quelle ancora precedenti. Cassette mandate a memoria, parole che prendevano il posto di quelle che non sapevamo ancora dire. Musica installata a viva forza nella memoria. Ancora oggi, quando finisce una canzone di Lucio Dalla, aspetto che inizi quella che la seguiva nella cassetta che ascoltavamo. Saprei ricostruire l’ordine meticolosamente, senza sbagliare un passaggio. Poi le cose cambiano, porca miseria. Dal 1988 in poi il gruppetto degli amici si è sparpagliato per l’Italia. Anche Lucio Dalla ha cercato strade nuove, è cambiato, ha esplorato. E noi, che non ascoltavamo più la radio nelle nostre camerette da ragazzini e non ci stipavamo in otto su una Cinquecento ad ascoltare “Quanta brillantina e coraggio mi mettevo”, lo abbiamo perso di vista, Lucio. L’ho ritrovato nel 1999, dal vivo, a Via Asiago, per un’intervista. Ero felice, rappresentavo tutto il gruppetto degli amici. Mi ha chiesto di dargli del tu, mi ha offerto mezza scatola delle sue liquirizie di Rossano. Avevo in tasca la cassetta, pensavo di fargli fare l’autografo proprio lì, dopo avergli raccontato le nostre storie. Ma poi ho pensato che la cassetta era autoprodotta e mi sono vergognato un po’. Niente autografo, pazienza. So che Lucio non potremo più perderlo di vista.

venerdì 20 gennaio 2012

Uno di Busto Arsizio

La Lega mi è apparsa impresentabile da subito, fin dai primi anni Novanta, fin dalle prime esternazioni antinegger e antiterùn. Poi qualcuno l'ha pettinata, l'ha sdoganata, l'ha sistemata nei palazzi che contano. I leghisti ululanti contro negri e terroni, nonché inneggianti alla secessione dell'Italia, sono diventati ministri. A furia di vederli tutti i giorni in tv, qualcuno ci è apparso persino più presentabile di altri. Magari soltanto perché in pubblico trattiene i rutti e le esternazioni antinegger e antiterùn. Uno di questi leghisti pettinati è Maroni. Però, dagli due minuti di ruota libera e riemerge lo spirito che anima la Lega. E' il disprezzo dell'altro in base alla provenienza geografica. Avrebbe potuto dire "Reguzzoni voleva farmi le scarpe, per questo ce l'ho con lui". Invece gli è scappato: "Come posso essere invidioso di uno di Busto Arsizio?". Per dire, ma avete visto che paesino insipido è? Ma sapete che quelli di Busto sono tutti fessi? Ecco, a sud di Busto c'è Roma, poi viene la Terronia, poi l'Africa. Ma è da Busto che si comincia.