martedì 19 marzo 2013


La rivoluzione dei dissidenti

Su chi possiamo contare perché le cose cambino e la storia non si ripeta? Chi rifiuta lo scontro frontale e segue la propria coscienza può dare un contributo davvero costruttivo. E rivoluzionario.

Viviamo tempi di rivoluzione, ormai è chiaro. Però tocca fare attenzione alle parole. Rivoluzione la ereditiamo dal latino revolvere: voltare, ritornare. Abbiamo finalmente la possibilità concreta di voltare pagina. A oltre a questa prospettiva, è chiara un'altra idea sottintesa all’etimo di rivoluzione, quella del ritorno. Ogni società cambiata da una rivoluzione è destinata a ritornare, lentamente, alle condizioni di prima, ma non senza sofferenze. Tra chi? Tra i potenti che si devono (giustamente) rovesciare? Ma no, ovvio. I potenti veri pagano il biglietto ridotto. Un paio di teste o tre, un signorotto ottuso e due Marie Antoniette che non sanno nemmeno la differenza tra pane e brioche. Il biglietto intero lo pagano quelli di sempre. Quelli che devono fornire il mobilio per le barricate e il sangue affinché i libri di storia del secolo successivo possano usare l’aggettivo “sanguinoso”. Dunque, il ritorno. La storia che ritorna. Prendiamo una rivoluzione qualsiasi: lasciamo prendere quelle più recenti, amarissime e inconcludenti, profumate di gelsomino, che pure rappresentano in pochi mesi quello che nelle rivoluzioni del passato avveniva nel giro di qualche anno. Soffermiamoci invece su quella francese, abbastanza lontana, abbastanza celebre.
1)      Si comincia con un sistema ingiusto e intollerabile.
2)      Va rovesciato, e il popolo lo fa.
3)      Prende quota un capo.
4)      Il capo decide la linea.
5)      Leva di mezzo tutti quelli che non la pensano esattamente come lui.
6)      Il regime di terrore che stabilisce diventa più odioso di quello rovesciato. Senza usare nomi recenti, questo passaggio ci ricorda qualcun altro, vero? Robespierre, Cromwell, Lenin, Mao.
Di questi tempi, arrivati come siamo al punto due e mezzo, ci possono salvare i dissidenti. Perché la rivoluzione è costruttiva proprio fino a quel momento beato, fino a prima che il capo diventi un nuovo sovrano assoluto. Al punto due e mezzo non deve essere dimenticata la democrazia. Deve prevalere il buon senso, che va deciso osservando gli eventi. Durante una rivoluzione, inoltre, gli eventi sono in convulso divenire: non puoi programmare prima cosa succederà. I dissidenti hanno permesso cose nuove, perché hanno partecipato al movimento rivoluzionario ma hanno scelto di evitare un inutile scontro frontale. Hanno rappresentato il popolo che li ha eletti, non un capo giunto al punto tre e mezzo. Non hanno smesso di pensare a dove fosse la soluzione migliore. Hanno dovuto scegliere, ma almeno hanno potuto determinare i termini della scelta. In futuro potranno far sì che la Sinistra sia meno autocompiaciuta e che la Destra si affranchi dal burlesque. Se continua così, i ribelli determineranno comportamenti saggi, e dunque eventi davvero rivoluzionari.

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